Un lampo ci attraversa l’anima e un messaggio ci scuote: essere quello che si vive, sentirsi liberi, darsi senza riserve, amare per davvero, sentirsi giganti nell’amore, di quell’amore che esiste come pura forma dell’Essere, riconoscere il senso d’ogni evento, anche dell’abbandono, amare osando l’amore, vivere il momento, glorificare il corpo. L’amore di cui si parla e che si descrive, l’amore intersoggettivo, l’amore che non necessita conferme, racconta come due pensieri possano incontrarsi e amarsi profondamente intrecciati nella carne e, al tempo stesso, potentemente proiettati verso l’infinito. L’estasi si può solo viverla o, tutt’al più cantarla, ed Enrica Giannelli cantandoci la sua esperienza non ci chiede di ascoltarla, così come si ascolta un discorso altrui, ci chiede di cantare con lei. Se lo facciamo risuonare in noi, questo canto ci trasporta in una dimensione orgiastica a-spaziale e a-temporale sì che improvvisamente l’impossibile, l’assurdo, si mostrano veri. La parola poetica si fa strumento di conoscenza che a sua volta si fa carne e uccide ciò che è passato, trasforma la vita, sublima l’esistenza. Un dialogo serrato, a volte dolce ed emozionante, a volte deciso e vero. La poetessa non ha paura di mostrarsi e donare agli altri quello che passa attraverso di lei, e attraverso di lei passa un continuo dirsi duale. Anche le parole del sesso sono trasfigurate, la sessualità venne dopo l’amore: così che l’impudicizia diventa in quanto espressione/di chi il Padrone/non ce l’ha più/la più alta virtù, come dice Silvia Montefoschi.
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