L’Uomo-Lupo nei Dialoghi con Leucò di Cesare Pavese: L’Archetipo del Mannaro tra Malinconia e Depressione

L’Archetipo del Mannaro tra Malinconia e Depressione
La figura del lupo mannaro ha attraversato i secoli come un simbolo di metamorfosi, istinto selvaggio e condanna interiore. Nei Dialoghi con Leucò (1947), Cesare Pavese ne offre una reinterpretazione densa di significati esistenziali, portando alla luce il legame profondo tra la condizione del mannaro e la malinconia umana. L’uomo-lupo di Pavese non è solo un essere trasformato dalla luna, ma è soprattutto un’anima divisa, un uomo condannato alla solitudine e al tormento interiore, incapace di appartenere pienamente al mondo degli uomini o a quello delle bestie.
Questa figura incarna una condizione psicologica che risuona con la depressione e l’alienazione: chi è preda della malinconia si sente come un lupo mannaro, estraneo a sé stesso e agli altri, soggetto a forze oscure che lo dominano. Pavese, con la sua sensibilità unica, usa il mito per esplorare il dramma dell’identità spezzata e della disperazione esistenziale.
Ma se la licantropia è condanna, la scrittura è il modo per darle una forma, per raccontare l’abisso e renderlo meno insondabile. Nei suoi diari e nelle sue opere, Pavese stesso ha lottato con il senso di estraneità e con la depressione, e il mito diventa per lui uno strumento per affrontare l’angoscia senza esserne sopraffatto. In questa prospettiva, il mito del mannaro non è solo una maledizione, ma anche una possibilità di comprensione, un ponte tra il caos interiore e la parola che tenta di ordinarlo.
Attraverso il mito, Pavese offre non solo un’immagine potente della sofferenza psichica, ma anche una via per esplorarla: la scrittura come tentativo di trasformare la disperazione in conoscenza, il dolore in racconto.

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *